Le cose che so di lui – 5

Le mie idi di marzo.
Marzo è la litania di un uomo italiano che sente la terra straniera, è la preghiera di un ateo straniero alla fede, il giorno della croce di acciaio al collo per trovare una pace dell’anima, è l’ora commemorata del nostro esilio, marzo nuovo è un anno che mi ascolta come un inno dell’ora media.
Qggi non è colpa della pioggia su tutta la capitale. Oggi il sangue si è confuso col bene fatto di acqua e scivola, scivola via nelle saittelle e si confonde con altra acqua, altro bene.
Che bella gioia che arriva in tutto il nostro disamore.
Dei giorni sull’isola io ne sento ogni secondo battere in testa come una sentenza. Sento il presagio e il pericolo del battito che batte come batte il tuo, mentre noi ci avveriamo come una profezia.
Mai più avrò il potere di poterti volere bene come questo giorno dell’anno passato.
Ti ho mandato un messaggio stanotte. Non risponderai. Per proteggermi da te, questo penserai, per non dar speranza alcuna vera come una maledizione. O sono solo io a pensarlo. Forse, con un moto di fastidio, non leggerai nemmeno quello che ti ho scritto e cancellerai direttamente. Lo so, avrei dovuto amputarmi le mani, ma questo  è un giorno importante e io non ce la faccio ancora a pensare che per te non lo è più, che non lo è mai stato.
Mai più in questa vita avrò il potere di guardarti mentre mi vieni incontro sulla salita di Corricella dal borgo dei pesacatori, mentre tu tenero sali e corri e vieni di corsa a spezzarmi il cuore.
Adesso che marzo ci porta l’amore io ancora non lo so, e nemmeno marzo lo sa, che verrà ottobre che poi lo rivuole.

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26/27 marzo 2012

G: 
 non riesco a prendere sonno. mi giro. mi volto. dove sei? i primi due giorni che abbiamo dormito insieme e mi pare così naturale averti qui. dove sei? devo avere qualcosa nei movimenti, negli occhi, nelle mani inquiete e questo rumore nello stomaco che somiglia a una mancanza fisica forte, che mi fa male davvero come una mano di meno. mi sveglio. formo. ti sogno ancora. polpette, a un certo punto, fatte da me con la carne che non ho comprato al supermercato. allungo una mano, mi sveglio, non ci stai. dove sei? no, sto ancora dormendo, ho sognato di svegliarmi e invece è adesso che mi sveglio. sono le 5 e 20 prendo il tel e ti scrivo un msg. lo cancello. mò mi alzo. no, dormo ancora un po’, cerco almeno, così poi ti sogno ancora, ed è così bello sognarti nel sogno però. però mi ferisce questa ansia di non toccarti, di non sentire la tua pelle, non averti sulla mia spalla, di non baciarti, di non svegliarmi senza i tuoi occhi belli di sonno smesso, i tuoi occhi che dicono a me “gì, guarda ca sto cca”.
buonsonno m., con tutto quello che provo per te ora alle 5 e 27 e tutta procida che invade la penisola del mio corpo.

M: 
ti sento, ti sento veramente forte. non ti sto scrivendo per impressionarti o cosa ma ho bisogno di dirtelo, soprattutto ho bisogno di dirmelo. quando ti guardo mi dai una cosa che non ne hai idea, mi dai come quando il mare vuole entrare a tutti i costi nel terreno e il terreno si fa sabbia per entrare a tutti i costi dentro al mare, mi dai quel fatto che siamo insieme, uni, l’uno dentro l’altro. forse non mi sono fatto conoscere ancora bene, come dici tu, forse non trovo mai le parole adatte al momento giusto per dirtelo, ma tu sei inspiegabilmente importante, sei bello, sei così tutte queste cose assieme che io faccio un po’ l’arrogante e ti prendo tutto. prendo-ti-mi tutto.
 non li so i prossimi 6 mesi che verranno a cosa ci porteranno, ma so che ci saranno, che io mi sono marchiato di te e che mi resti dentro anche quando non ci sei fisicamente.
 ti lascio una buonanotte al sapore di lunghe camminate, musica improvvisata, bicchieri alcolici rovesciati e soprattutto tanti tanti baci. ‘notte piccolì!
 🙂

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Infatti, sei stato di parola. Sei mesi dopo te ne sei andato, e senza prenderti la responsabilità di spiegarmi la promessa tua che non mi ha mantenuto. Senza senso. Senza giustizia. Ma qual è il modo giusto di andarsene, quando uno va via e l’altro rimane?

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Le cose che so di lui – 4

28 agosto 2009

M: caro il mio scrittore-informatico dei miei stivali, ma che fine hai fatto? mi sembra di capire che sei andato su e giù per l’italia, ora però non riesco a capire ‘ndo cazzo stai, e soprattutto come stai. 
uno di questi weekend dovrei salire a roma, quindi fatti vivo 🙂

G: 
 ci sto ora a roma, ma domani vado a barcellona, poi mercoledì napoli, e venerdì a bologna fino a lunedì.
 tu quando sali?

M: azz, allora avevo capito bene che stai a fare il profugo :D
penso sicuro vengo l’altro finesettimana, cioè a settembre, ma ho un esame in giro per quei giorni e non posso organizzare ‘sta salita sin da ora.
a napoli che vieni a fa’?! 🙂

G: a vedere un po’ di famigliame e a lasciare R., uno con cui mi vedo da un paio di mesi.

M: 
-.- azz ti sei pure fidanzato in tutto ‘sto tempo? sì, è parecchio che non parliamo io e te 😀

G: 
beh, fidanzato mi pare una parola grossa.
mi sono fatto trasportare. 
non so, sarà che cha 22 anni… boh… ma ho deciso che per lui miss italia finisce qua 😉

M: uhm, e non ti facevo così duro. eppoi uno della tua età, con le tue esperienze, è normale che si annoia coi mocciosetti di 22 anni, ma cosa mi combini?! 😀

G: 
eh, vallo a capì…
 no, non sono duro, figurati, so’ veramente un cretino su questi fatti.
 solo che poi la gente se ne approfitta… in effetti, ripensandoci, non solo su questi fatti so’ cretino 😛

M: 

ahahah, eccome si fa ad approfittare di te? 😛 
vabbè, magari ne parliamo meglio da vicino. non so come sarai combinato nel soggiorno napoletano, o magari quando salgo io a roma… posso chiederti come mai vuoi rompere? se ho capito chi è, anche se non lo conosco da fb me n’ero fatto un’idea di un tipetto sempre allegro e in movimento 😀

G: sì, è sempre allegro e in movimento, pure intelligente, anche divertente. ma se non mi ha preso non è mica colpa mia 😛 capita.

M: ovvio ovvio, sacrosanta verità :)


a dire il vero,  però io sarò a terni anche il prossimo finesettimana; stavo pensando di restare anche per il lunedì, passando per roma; dipende da un po’ di cose che devo sistemare… ti faccio sapere 😉 il tuo num ce l’ho.

G: ok.
se ce la fai mi fa piacere rivederti. beso. g.

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L’amore non è una scelta, non è un progetto, non è una macchina fotografica desiderata, non è una bicicletta, non un lido di Formia, non è un disegno di un palombaro-scimmia sott’acqua, non è un concerto di Arisa, non è l’isola di Procida, non è un’aspirina da mandar giù una sera, non è un preservativo da saper indossare, non è la macchinetta del caffè da avvitare: l’amore non è niente di tutto questo.
Quanto vale, in termini di istanti di vita, questa ferita inutilissima che mi hai tagliato sul petto? C’è un modo per quotare, in borsa affettiva, questo stupendissimo dolore che non passa? Che non si arripiglia? Che non smette? Che non si consola?
Sai, se tu tornassi adesso, se tu arrivassi nel mio spazio, nel mio facebook, sul mio telefono, se tu ritornassi dal tuo viaggio della cancellazione e mi dicessi: “scusa, mi sono sbagliato, voglio stare con te”, io mi sentirei perso. Perché non ho una domo mea, non ho più una forza per abbracciarti e dirti “anch’io, sempre”, non ho un lavoro per darmi sicurezza, non ho una frase che somigli all’eternità e ti faccia capace di quanto ci sono io per te, non ho stima di me, non ho un più un cuore che ti faccia bellissimo col battito. Vedi, è questo che è successo. Mi hai fatto di niente, mi ha tolto la voglia di vivere e scusami se te lo dico, ma è questo il fatto. Tu mi hai convinto che la gente può dire e fare qualsiasi cosa se lo vuole, se ha uno scopo. E allora, se vale questo che hai fatto, se è vero e falso in ogni istante quello che dici e fai, allora vale tutto e non c’è modo per me di stare dentro le cose, mentre ci sono già non ci sono più e io non ho più un residuo di vita per affrontare questa scorticatura della Terra, non ho resti di vita per affrontare questa stonatura nella tonica dell’universo.

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22 marzo 2012

M:
e poi torno a casa e mi viene da pensarti, da scriverti, da raccontarmi in questo modo stasera. sarebbe più facile comporre quel numero, mettere assieme quelle cifre e far corrispondere dall’altro lato la tua compagnia, la tua risata, la tua voce penetrante. invece no, stasera mi piglia così, mi piglia che devo scriverti e devo farti sapere una cosa. una cosa che forse non ti ho detto mai, o che ti ho detto mezzo mazzècata (un po’ come la mia esse), una cosa che nel dubbio metto nero su bianco, su queste parole che restano, ti guardano per un po’ come ti guarderei io se ti avessi accanto a me in questo momento, col tuo corpo. quello che ti volevo dire è questo, che tu, tu mi fai stare davvero bene. che è una cosa diversa dal dire che ti voglio bene – non so se superiore o inferiore, non lo so, chissenefrega – però è una cosa diversa, una cosa che a me capita ogni tanto, poche volte, raramente nella vita. in alchimia la chiamiamo risonanza, mi viene da dire così, che quando ti sento e ti vivo un pochettino mi risuoni dentro, mi metti vita. che bello! alimentare, dare vita, in un mondo di cose che tende alla distruzione, un’entropia nell’entropia. che bello!
 ieri mi ero fatto il film, il film di prendere il treno e venirti a trovare per stare un poco con te: cose che mi succedevano eoni fa, cose che non mi appartenevano più da molto molto tempo. essì, mi stai facendo riscoprire, e di questo a modo mio te ne ringrazio. 
oggi poi, non ne hai idea, oggi poi mi stai mancando che non ti dico. quando passa questo tempo? passa, mi dico. però però, tengo ancora stretto.
ti voglio bene Gì, e sto schifando questa sfaccimma di distanza.
questa è, purtroppo, anche una buonanotte per oggi, poco fa non sono stato molto bene e son dovuto tornare a casa, ho fatto un po’ lo smargiasso oggi avanti e indietro e le mie forze mi impongo un bel riposo, quindi vado a letto presto, mi leggo un libro e mi lascio addormentare. 
un bacio sull’occhio destro. m.

G: sto qua, vicino a te.
non me ne vado.
io non mi sposto di un millimetro da vicino a te.
 io torno domani. buonanotte g.

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Abbiamo aspettato un po’, non è un caso. Tutti questi anni di parole e poi quasi un mese di baci e di carezze, ma nient’altro. Il 24 di marzo è stato il giorno che il nostro corpo ci ha conosciuti. Quello è stato l’istante più gigante di tutto il mio universo conosciuto. In viaggio sul tuo corpo, nella geografia del tuo odore. Non dimenticherò mai, finché avrò vita, tutta la bellezza dei tuoi occhi spalancati sul mio orgasmo.
Una cosa unica. Le nostre bocche a poca distanza, sentirci fiato uno nelle viscere dell’altro diventava un miracolo di bene, un sangue di san Gennaro che si scioglieva di botto, era come stare nel proprio corpo per la prima volta.
Oggi, a riuscire a pronunciarlo questo dolore assurdo, sarebbe già una conquista. Invece non ho che sillabe pazze, alla rinfusa, senza un senso vagano nella mia bocca come fantasmi in una casa rotta dal tempo. Sono rimasto qui, tra gli intonaci scorticati dalla dimenticanza, a segnare i giorni che passano sul muro del nostro fiato, sperando prima o poi di uscire fuori a libertà da questa cella dove io stesso ho avuto premura di rinchiudermi.

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24 marzo 2012

M: buondì buondi buondì. come va? 😉 io sto un po’ stanco, ma mo veco a te e me riposo :P.

G: uè, se se, quale riposo? 😛 oggi pensavo a quale potesse essere la cosa che più vorresti al mondo. mi chiedevo: ma quale sarà? 😉 non posso saperlo, certo. però, qualsiasi cosa sia, mi piacerebbe che te la trovo io; ecco, è questo qua. tu mi scippi a quadrettini, stai facendo il mariuolo di tutti i pensieri miei, e ci lasci solo il tuo nella capa mia. questo è un anticipo del malatia time 😉 a stasera 😉 sto tutto cuntent’ ca te veco.
p.s.: l’aliscafo mi pare che sta intorno alle 6.

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L’amore non è una scelta: questo è.

 

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Le cose che so di lui – 3

3 luglio 2009

G:
 e quindi…
sei ancora vivo, caro.
 non ti ho sentito più. nemmeno incrociato per caso.
 ho pensato ti fossi dedicato al cammino di santiago ;).

M: ci pensavo, sai
ma forse sarebbe troppo banale. 
faccio un po’ a pugni con la vita ultimamente, ma ora mi sto rimettendo in riga. sarà per questo, o forse perché sei stato spesso fuori e indaffarato. sai, seguivo la tua vita da lontano :). un beso, m.

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A volte spero tu segua ancora la mia vita da lontano. Che te ne curi almeno un po’. Che ti chieda se mangio, se rido, se vado al cinema, se conservo ancora la buffa mucca che m’hai regalato il giorno del mio 44esimo compleanno, se bevo di meno. Non chiedi di me ai nostri amici. Non lo hai fatto mai per tutto questo tempo, non ti viene di sapere la larghezza delle mie ferite, non conosci la lunghezza del mio sangue, né ti fanno impressione le mie infezioni, non hai letto il tatuaggio nuovo sul mio braccio destro e non sai cosa ho fatto oggi, se ho scritto qualche pagina buona, se ho pensato a te. È un fatto e questo è: non te ne importa.
Ma prima, te ne importava?
Questo viaggio di marzo, fatto a un marzo dopo, mi ha tremato le ossa e chiuso gli occhi. Non te l’ho mai detto, ma in quel giorno là che c’eravamo comparsi io avevo cambiato i miei chilometri per venirti incontro a piedi scalzi, mutato direzione e verso delle mie ore per poterci dire in bocca una parola che era proprio ‘roma’ al contrario, e troncata nell’ultima vocale per timore di pronunciarla. Ora alle mie parole non parli più, sono mesi che non lo fai e nemmeno alle mie domande hai risposto mai. Mi sono trattenuto qui vivo a scomparirmi mentre tu mi scomparivi dal tuo avvenuto, mi cancellavi bacio dopo bacio, trepidazione dopo trepidazione, significato dopo significato.
Ma prima, prima ti ero apparso?
La mucca l’ho rotta. L’ho scaraventata dalla finestra due settimane fa. Anche il Daitarn III, il nome che avevi dato al mio pisello e che era diventato un vero robot che m’hai regalato e che sparava il nostro desiderio a ogni attacco di tenerezza nostra: non ne ho conservato nemmeno un pezzo.
Un viaggio ho fatto questo marzo nuovo nella terra che mi ha visto esule, emigrante, la terra di mio padre e dei miei fratelli. Anche questa ricerca di un altro me è migrata nelle piccole intenzioni che mi facevano vero e progetto di gioia e evento di bellezza, è stato un viaggio stanco che cominciò e che finirà stringendo la mano mia nell’altra mia mano di ventenne.

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15 marzo 2012

M: ti immagino
nei vicoli di roma, ti immagino nei luoghi misti dell’aeroporto dove la gente puzza di misteriosi andirivieni, ti immagino già sotto il cielo di stoccarda a ritrovare cose che non sono mai andate via da te. ti immagino, ti immagino assai, e se vuoi proprio portarmi qualcosa da questo viaggio, gì, portami un bacio per ogni volta che non ci siamo visti, portami un gino che ritorna e se ne sta un po’ con me. ti voglio un bene carnale che non so spiegare, e per questo però io non ti chiederò scusa, io ti benedirò e tu ti starai zitto zitto, io qui ho una strana bella giornata di sole e siediti accanto a me, tenendomi la mano.

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Mi hai voluto bene? L’hai solo immaginato. Chissà cosa avresti fatto se mi volevi male! Voglio dirti una cosa: quel bacio te l’ho portato, anche se non sono mai partito, ma questo tutto quanto che è arrivato è stato davvero tutto troppo per un corpo solo. Cinque braccia, sette mani ci vorrebbero, una processione di sguardi dovrebbe guardarmi, e il formicolio di quarantaquattro dita e migliaia di impronte sulla fronte dovrebbero toccarmi. Ci vorrebbe un’ora che basti, che sia tregua, che sia olio per le forze che muovono l’ingranaggio della mia vita, quasi fosse una cortesia di questo dolore scostumato e che sia un poco gioia mia, un pochetto conforto mio, che sia pace del bene, un possessivo che fa il mio ancora di me.
Ma è così assai, per il mio corpo, tutto questo niente che mi svacantisce. Tu? Dove sei tu? Che fai?

parche

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 03 ottobre 2012

M: Gi’,
non farti del male inutile. io non posso dirti chi metterti ad amare, ma posso dirti che io non ti ricambio. dovresti applicare le tue energie e il tuo amore per qualcuno che sceglie di stare con te. altrimenti, se continui così, quello che si autodistrugge sei tu. questo, lo sai bene, te lo dico con affetto.

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M., é mai vuluto bbene a me?
Voglio dirtela quest’altra cosa. Un mese dopo che te ne eri andato da me, sono venuto a cercarti per sapere cosa, come, chi, perché. Per trovare il modo di starci uno nella vita dell’altro come ci eravamo promessi. Di questo si trattava, di credere e fidarsi, di volersi bene senza ragione e andare in un altrove che fosse altrove.
Un mese dopo, sui gradini di piazza Bellini, sei andato indietro nei giorni insieme come un gladiatore del tempo per ucciderci quel piccolo passato per me sufficiente a dirmi chi eri, per ammazzarci nella fotografia dei nostri giorni belli, per dire senza macchia e senza paura, mio cavaliere della tua stessa Apocalisse, che non ero stato niente, nemmeno un errore.
– Perché vuoi un rapporto speciale con me? Tu non sei speciale per me, non lo sei mai stato.
Io, allora, con un filo di voce.
– Ma che dici? Allora tu non mi hai mai amato?
– No. Mai.
“Calmo, crudele” ti sei alzato tranquillo, e come l’uomo della Achmatova di spalle hai aggiunto: “Non startene al vento”. E te ne sei andato. E non ti ho più visto. E non ti ho più sentito. E di non in altro non, ti sei definitivamente negato a me.
A cosa dovevo credere? Quando? Come?
Io sono stato dalla tua parte, né davanti né dietro ma a fianco a te, sempre.

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12 settembre 2012

M: allora
buona notte amore mio. io sono appena tornato. spero a te tutto bene, comunque. ti amo tanto.

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A cosa credere? Sono nel centro del mio viaggio. All’inizio. Sono alla fine del luogo. Sono un fatto nato e ho nato chissà quale tempo e non so in quale destinazione sono finito, non so capirlo. Guardo l’orologio appeso in cucina e capisco che un anno fa a quest’ora stavamo pranzando per la prima volta insieme in una pizzeria di San Giovanni a Carbonara, e non so se è veramente adesso questo adesso, o se questo adesso è un anno prima che le cose accadano, o se è tutto vero questo tempo avvenuto e sono pazzo, sono un gatto, sono fuori dalla mia casa e poi distratto, sono carne e sono gloria, sono un bellissimo ricordo senza storia. A chi servirà leggere di questo… come posso chiamarlo? Nemmeno dolore è.
“Nun è overo è ’o nomme tuojo”, mi dico, “pe’ tutte ’e vote ca m’é chiammato ammore”.

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22 settembre 2012

M: mi dispiace,
averti ferito. mi dispiace, averti deluso. mi dispiace la maniera nuova che avrai nel guardare la nostra storia, mi dispiace il dubbio che si insinuerà, mi dispiace la diffidenza che ti potrebbe nascere. io però non sono niente di tutte queste cose qua. sono solo uno che c’ha sperato ma non c’è riuscito. di questo, soprattutto, mi dispiace.

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Come siamo arrivati a questo dispiacere? Che hai fatto per dispiacermi? Il tuo nome. Lo dico e lo ridico, lo reimparo a ogni istante. Non è il presente che hai sottratto all’improvviso e né il futuro che non hai voluto avverare il tuo delitto più atroce, il mio mancarmi più mancante. È essere cancellati da quello che si era, è non essere stati la cosa brutta più bruttissima che c’è, una cosa piccola e bambina. È come essere malati di alzheimer e ferocemente comprendere che verrà un giorno in cui un ricordo caro scomparirà senza nemmeno che tu possa ricordare che ti è sparito. È come non avere più il nome. Allora più nessuno riuscirà più a chiamarti, e non esisterai più tranne che per te stesso. Non è il niente che è arrivato a farmi più male ma è la menzogna, quello che hai mentito con il corpo, con i baci, con gli sguardi, con le mani, con le intenzioni, con le parole, con i gesti, con le esitazioni, i dubbi, le crisi, le riflessioni, le rivelazioni: fino all’ultimo momento insieme. Questo è il quello che mi mette le braccia incrociate sullo stomaco come fossi morto.
La tua ‘legge morale’ è dire e fare qualunque cosa per sperimentare un amore da trovare, uno qualsiasi. Arrivare ‘moralmente’ a un risultato e guardarlo quel risultato, decidere poi se vale la pena di tenerlo o di buttarlo, fottendosene di quello che ha suscitato nell’altro, non pensandoci, irresponsabilmente, a quello che si crea e a quello che si distrugge.
“La tua ‘legge morale’, amore mio, non vale manco una chiavata dietro a un muretto. È una bicicletta da pedalare, sotto un mare di stelle estinte da chissà quante migliaia di anni, per trovare un’altra creatura a cui succhiare il cazzo e la vita. Tu sei una malattia dell’universo. Vivi della luce che arriva sulla terra da una stella morta migliaia di anni fa”. Ascolto le parole che dico ad alta voce e non è quello che sento davvero. Qui c’è rabbia, e io non ne provo. Qui c’è rancore, e non è così.
Ascolto coraggioso il rumore delle cose intorno a me.
Dopo tutti questi mesi mi spavento ancora quando ne imparo il suono raro.
Ci sono cose che nessun marzo mai potrà guarire.
È che io sì, prima di amarti, io ti ho voluto bene.
È per questo che, al di là di quello che ti sei rivelato, io comunque ci sono e ci sarò sempre per te.
Te voglio bbene, uagliò.

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Le cose che so di lui – 2

18 maggio 2012

M: dimenticavo
il compleanno di I. ha un tema, che è l’essenziale, sulla falsariga del piccolo principe (L’essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che col cuore). per questo, se ci riesci, dovresti portare qualcosa che rappresenti il tuo Essenziale.
 Io avevo pensato di portare Te ma gli oggetti che rappresentano l’essenziale saranno tutto il giorno su un tavolino, quindi non mi va, io voglio stare abbracciato a te tutto il giorno 😛

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Certi giorni fa così freddo che febbraio è finalmente onesto e lo dice tutto quanto l’inverno che è. A uscire fuori sul balcone non ci penso proprio, ma dietro i vetri della finestra della mia stanza guardo tutto il bianco della montagna di fronte e penso alle orme dei lupi nella neve.
Non ci sono lupi dalle mie parti.
Non abbiamo molte foto insieme. Ce n’è qualcuna sul mio Mac. Siamo in cucina a casa mia, sono in bianco e nero, mentre facciamo gli scemi. Ce n’è una che ti ritrae ammiccante e fai finta di essere spaventato, hai un foglio tra le mani con scritto su help me e io, di fianco a te, che faccio finta di essere il cattivo.
Facciamo finta.
A un certo punto, dopo qualche mese, fu questa la mia paura. Che fosse un sentimento che mi inventavo io, che inventavi tu, qualcosa di cui avevamo bisogno, calore e baci e tempo bello.
Che facevamo finta.
Qualche giorno prima del compleanno di I. ti avevo lasciato.

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20 maggio 2012

M: io non lo so
veramente non lo so che sta succedendo. non riesco a capire come da una stupida frase hai tirato fuori un mare di cose che non esistono. ti prego, parliamone. vediamoci stasera, telefoniamoci se vuoi, dimmi dove devo raggiungerti, dimmi che devo fare. non ti sei inventato nulla, qua non ci siamo inventati nulla.
fatti vivo, spero non su facebook.

G: ognuno di noi
ha una storia che si porta dietro. la mia storia mi dice che devo stare solo con gente che si prende la responsabilità di quello che fa. in questo caso, non mi vanno bene cose come sono innamorato di te, che cosa bella che sei, o ti voglio bene assai e poi le sprangate tipo: “ma chi ti ha mai detto ti amo”. perché sono tre mesi che stiamo insieme e io temo che sia solo la mia bontà come persona a farci insieme. 
non si tratta di costruire, ma dell’intento di costruire. 
che, con una frase così, sento che manca. 
ti chiamo, certo. non oggi però.

M: a me sembra solo
che stai giudicando le parole, e non l’intento.
 mi fa sorridere che io dica per tre volte che voglia stare con te, costruire qualcosa al punto tale che mi giro indietro e scopro che sei la persona della mia vita, e questo viene cancellato da una frase che riflette un dato di fatto: non ti ho mai detto t’amo, ma nemmeno t’ho mai detto che hai un bel sedere, e non t’ho mai detto che ho paura degli ascensori.
 chiamami quando vuoi, io resto attaccato al telefono. non mi va di parlarne qui su fb. 
sappi, comunque sappi che mi manchi da morire.

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Mi faccio un po’ di caffè. Ogni volta che entro in cucina e apro l’acqua del rubinetto, o il frigorifero, o guardo il tavolo in marmo e le sedie, le mattonelle, la presa della caldaia, non posso fare a meno di pensare a te che ti muovi nella mia casa con i bermuda che ti ho prestato e che davvero, ma davvero ti stanno larghissimi. Dentro il colaposate sono rimasti i cucchiai che hai usato l’ultima volta, non li ho spostati, e poi non li uso, io. A te manco a calci sulla bocca si è capaci di farti usare una forchetta, mangi tutto con il cucchiaio tu. Prendo lo zucchero dallo stipetto e nel ripiano superiore scorgo il farro e l’orzo che ho comprato la prima volta che sei venuto da me. Non sapevo che farti mangiare, sei una specie stramba di vegetariano, uno di quelli che non mangia la carne se è di allevamento industriale.
Quante volte in questi mesi ho girato notti intere intorno al tavolo? È una mia fissa quella di girare intorno al tavolo, quasi la rappresentazione fisica dei miei pensieri che fanno il giro del mondo e poi ritornano qui, uguali e più forti, a popolare ogni ora, ogni minuto infinitissimo.

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22 maggio 2012

G: io voglio chiarezza
non mi disconoscere per favore, non mi sconfermare, e non mi fare più ingenuo di quello che già sono. le parole non mi fanno effetto, ma le parole che mancano sono quelle che mi colpiscono. io voglio che tu sia chiaro con te e con me. lo pretendo, perché sono stato massacrato negli ultimi dieci anni da gente che diceva cose che assomigliano alle tue. non me lo posso più permettere, anche volendo. io mi conosco.

M: smettila di guardarmi per come mi vorresti
guardami per quello che sono. io metto la paura e la fragilità dinanzi la tua porta proprio come fai tu. mi chiedi di prendere l’evidenziatore e ripassare sulle cose dette e fatte, come se non bastasse mai quello che sono. come mi hai insegnato tu stesso, io questo sono. io ci sono, se non mi vedi, veramente se non mi vedi io più di questo non so che cosa posso fare.
non ti disconosco, anzi ti riconfermo: tu sei proprio come sei. non so, però, se tu vuoi riconfermare me, per quello che io sono.
con un bene che forse nessuno ti ha mostrato mai, m.

G: Cosa muove te verso me? 

ho bisogno di saperlo. è così difficile rispondere senza tanti panegirici e senza tutte ‘ste parole? 
si tratta di prendersi la responsabilità di quello che si fa. perché io non voglio ‘inventarmi’ niente, né fare tutto come ci fossi solo io, né dover per forza intuire. 
meglio ‘e chesto non te lo so dire.

M: cosa mi muove verso di te?
il fatto che tu sei una persona bellissima, il fatto che tu mi fai stare vivo, il fatto che io voglio farti stare bene, il fatto che sento un innamoramento, una cosa che a vent’anni avrei chiamato amore ma ora non so, gli metto un altro nome, il fatto che voglio vivermi tutto questo.
 io tutte queste cose te le ho dette già dette e stradette. io mi stanco a ripetermi, a ribadire, a confermare.
io stasera ho pensato che non stessimo più insieme, e mi sono sentito vuoto. io voglio stare con te, voglio darti il meglio che tengo, voglio venirti a curare quando posso e dove posso, nella mia concezione di cura e sanamento. io voglio i tuoi occhi la mattina, il tuo abbraccio, il tuo respiro nel mio respiro, io voglio non dovermi riconfermare, io voglio non doverti spaventare, voglio proteggerti da quelli che ti fanno stare male, voglio aiutarti a stare felice con la realizzazione dei sogni che tieni, di tuo, senza che tu debba rinunciare a nulla della tua vita per stare con me.
meglio di così, meglio di così non te lo so dire.

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Certi giorni fa così mancanza la tua assenza che mi manca pure il nome. Ci sono abituato, è da un po’ di mesi. Quando arriva un giorno fatto così, apro una tua foto e la guardo, mi cerco un messaggio tuo sul telefono, uno di quelli che mi fa sentire qualcosa, che mi fa essere stato qualcosa, e me lo rileggo annusando tutte le parole. Che poi le conosco a memoria tutte le parole che mi hai scritto. Apro una foto tua, la guardo e leggo il messaggio ad alta voce.
In verità, molte tue foto le ho prese dal tuo profilo fb.
Sì, sono poche le foto dove stiamo insieme. Una è in un locale a Napoli. È aprile. Maglione verde tu. Giubbotto nero io. Braccia allargate tu. Sigaretta in bocca io. C’è n’è una dove siamo io e te seduti vicini. La mia preferita. L’ho usata come immagine del desktop a ottobre, a novembre, a dicembre, a gennaio. Ci sei tu che sorridi e indichi qualcosa col dito. Io guardo nella direzione che mi mostri, un po’ imbambolato, lontano.
La foto ce l’ha fatta D. il giorno che andammo in una splendida casa in campagna, ad Avellino, per festeggiare il compleanno di I, ché mi avevi convinto, volevi davvero stare con me.

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30 maggio 2012

G: stanotte
guardavo le foto del compleanno. so’ capitato su quelle dell’anno scorso, non so come, e ho visto che ci eri andato con V., hai delle foto con lui.
ho pensato (ma io, eh:), chissà se ci sarò a quelle dell’anno prossimo….

M: 
lo so
è una foto bellissima, ieri l’ho mirata e rimirata per ore! :-)
ci saranno tanti e tanti compleanni di I. a cui andremo assieme come fidanzati, non solo a quello dell’anno prossimo 🙂

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Certi giorni che non dico nemmeno una parola, che me ne sto zitto senza nemmeno la forza di chiedere aiuto, penso che io ti conosco, che lo so chi sei, so qual è il tuo essenziale. Per tutto quello che è venuto dopo ti trovo una giustificazione, un motivo nobile e pulito. Come un bravo ragioniere faccio e rifaccio i conti dei duecento giorni insieme, calcolo e ricontrollo i risultati di questi altri duecento giorni che ci hanno visti separati, senza di noi, che ci fanno in due posti separati del mondo, che ci hanno tolto la presenza, la voce, la quotidianità. Che ci hanno fatto estranei. E mi spendo le forze residue spingendo oltre il pensiero, ad altri duecento giorni e duecento ancora, e l’unica cosa che riesco a immaginare è il tuo bene, la gioia che la vita deve necessariamente portarti, che io voglio ti porti.
So chi sei. Non puoi esserti comportato così, a me questa cosa non la faresti mai.
Succede, lo pensiamo delle persone che amiamo. La verità, tutta la verità, è che non conosciamo un cazzo di quello che siamo, perché in fondo non lo sappiamo quello che possiamo diventare, perché un’altra verità è che tutti noi sappiamo cos’è il dolore, ma non sappiamo riconoscere, e accettare, il tempo migliore che ci accade, perché non siamo capaci di chiudere gli occhi e diventare finalmente, una volta tanto, una sola volta, invisibili.

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Le cose che so di lui – 1

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Le cose che so di lui – 1

18 dicembre 2008

M: dubbi amletici
caro, purtroppo non ci conosciamo direttamente, soltanto abbiamo avuto uno scambio veloce di mail tramite splinder (ienablu86.splinder.com), e io ho avuto modo di leggere uno dei tuoi libri e ne sono rimasto affascinato, e talvolta P. mi ha riportato alla mente il tuo nome in una delle sue conversazioni, è tutto qui credo, dubbio amletico risolto 😀
quando ti ho visto tra i suoi amici ho pensato bene di aggiungerti, ma non sapevo conoscessi anche I. e A., due grandi amici della mia storia.

G: Ah, ecco
grazie per la spiegazione 🙂
beh, sicuramente capiterà che prima o poi ci si conosce anche di persona.
buone cosette.

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La prima volta che ti ho visto è stato a una tua mostra a Roma, agli inizi del 2009. Ma erano già almeno tre anni che sapevo della tua esistenza, che ci eravamo scambiati qualche messaggio via blog.
Io avevo un piede rotto da quattro mesi e a stento camminavo con le stampelle. La mostra era in un locale, vicino Piramide, alla fine di una ripida discesa. Avevo difficoltà deambulatorie e, come se non bastasse la discesa, il locale aveva anche una scala in ferro, tipo quelle antincendio, a chiocciola, di trenta gradini, che portava sotto dove era allestita la mostra. Non ti dico i santi che ho tirato giù per arrivarci.
Ero con un certo Andrea che scriveva su una rivista di arte e faceva anche l’attore, cioè, ci provava. La mostra la facevi con altre due tue amiche. I tuoi lavori erano fotografie, non tutte belle. Una in particolare, che avevi titolato Fratellanza, mi aveva catturato. Al mio amico Andrea, o meglio pseudofidanzato di quel freddo gennaio, il tuo lavoro non piacque.

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4 gennaio 2009

G: saluti e buon anno.
p.s.: a proposito di quel pazzo P., ma te ci stai domani?

 fa la classifica annuale dei suoi amici migliori, e mette anche un punteggio a seconda di quello che ha ricevuto come atti di amicizia.

M: nah
purtroppo quel pazzo di P. abita troppo lontano da casetta mia, senza contare che ho un impegno importante in serata. ma il mio feisbuk qui mi dice che hai intenzione di venire alla “mia” mostra a roma… is it vero?! :-\
p.s.: ma quindi la trovata della tua lettura della poesia di P. era solo per avere più punti possibili in calcio d’angolo nel suo amicarium, eh?!

G: peccato che non vieni
vabbuò, ma ci conosciamo alla tua mostra, ‘o feisbuk tuo ti dice ‘a verità.
saliù.
“per chi vorrebbe partecipare” – ? ma è una… licenza? (sì, di uccidere la lingua però…:D)

M: ?
Non ho capito.

G: eh
sull’invito fb per la mostra. sarebbe meglio un “per chi volesse”, non trovi?

M: è vero
è un’ipotesi quindi ci vuole il congiuntivo, ma io mi metto dalla parte di chi ha già ricevuto l’invito e pensa nella sua mente “uà!, io avrei voluto proprio partecipare”, e quindi sottolineo la condizione di impossibilità. mi sono apparato così?! :-\

G: assolutamente sì!
tu “ti appari” sempre
:)

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Ti avevo salutato con un doppio bacio sulla guancia, appena arrivato alla fine della scala, e avevo pensato che il tuo odore era troppo forte, non mi piaceva. Portavi un maglione dolcevita bianco, una giacca che ti faceva belle le spalle.
Per tutta la sera me ne stetti seduto al bancone, a bere birra con Andrea, e tu a pochi passi non smettevi di guardarmi con un sorriso ebete sulla faccia. Andrea a un certo punto si fece una grassa risata e avvicinò la sua bocca al mio orecchio.
– Gi’, ’sto ragazzino te sta a batte i pezzi.
– Dai… Potrebbe essere mio figlio.
– Appunto. Questi qua li cercano quelli più grandi.
– Ma va!
Quel giorno di gennaio del 2009, con la mia gamba rotta, seduto al bancone con una birra in mano, ti guardavo e pensavo a me a com’ero io alla tua età, a ventidue anni. Ti guardavo e mi veniva da ridere ripensando alle cose che mi avevi scritto su splinder, nei tre anni precedenti. Un adolescente, con la cotta per un blogger che andava per i quaranta, che aveva cercato di stupirmi attraverso le sue parole e i suoi disegni, le sue foto, il suo blog minimale con una grafica accattivante (mi ricordo i fiammiferi come icona per i link dei tuoi contenuti). Ti guardavo e pensavo che eri bello e che mi faceva male il piede e che le tue amiche erano simpatiche e che Andrea mi stava un po’ sul cazzo e, quel giorno di gennaio del 2009, pensavo tante altre cose che mò non mi ricordo. Quello a cui nemmeno minimamente pensai, manco lontanamente, fu alla possibilità che tre anni dopo mi sarei innamorato di te.

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Le cose che so di lui – 0

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Le cose che so di lui – 0

è un romanzo, almeno ci prova. lo scriverò qua.
ha a che vedere con l’amore tra due uomini.
ha a che fare con la conoscenza di sé, la sacralità delle parole pronunciate, con l’addio.
si pente – esso stesso – di scriversi post dopo post.

luigi

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le cose che so di lui – (-1)

questo dovrebbe essere il mio nuovo (tra virgolette) blog.
questo è il luogo della mia assenza e vi giuro che la sentirete e anche molto.
l.

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a roma il recital di acqua storta – 03 >>08 maggio

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tu mandami a dire

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Che bello!, arriva il 2011!

Vabbè…
Non sarà particolarmente esaltante, il Capodanno, ma tutto il resto dell'anno spero davvero lo sia.
Per tutti noi 🙂

Auguri

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